Il procurement pubblico per l’innovazione delle stazioni appaltanti #1: innovazione e procurement pubblico - Alan Advantage

Il procurement per l’innovazione è un’opportunità per le stazioni appaltanti, per i cittadini e per le imprese coinvolte nei procedimenti di gara perché consente di coniugare la naturale inclinazione all’innovazione presente nel tessuto industriale italiano con la necessità di avere una pubblica amministrazione efficiente e tutt’altro che di ostacolo.

Gli ostacoli che oggi impediscono la piena manifestazione dei benefici potenziali offerti da procedure di gara specificamente dedicate all’innovazione devono essere il punto dal quale iniziare la costruzione di un framework metodologico e di processo attraverso il quale trasformare il paese e la vita dei cittadini e delle imprese.

Innovazione e procurement pubblico

Da qualche tempo seguo le attività dell’ufficio gare aziendale e tale incarico mi ha consentito di osservare un settore economico al quale non ho mai dato particolare attenzione ed offerto l’opportunità di entrare nel complicato universo del procurement pubblico e delle stazioni appaltanti. Inoltre, il mio percorso da innovation manager mi ha portato sin dalle mie prime esperienze professionali a lavorare a stretto contatto con l’universo delle startup e dei processi di innovazione.

Il risultato dei due incarichi è rappresentato dalle riflessioni che intendo condividere in questa serie di articoli e relative alla relazione esistente tra processi di innovazione, procurement pubblico per l’innovazione e startup.

In questo articolo di apertura cercherò di fornire il contesto nel quale declino le mie riflessioni e cerco di suggerire qualche opportunità.

Il contesto normativo del procurement pubblico
Il mercato italiano degli appalti pubblici è normato dal controverso “Codice degli Appalti” del 2016. Il “Codice”, come è definito dagli addetti ai lavori, è stato sin dal suo esordio sulla scena normativa italiana criticato per la complessa maglia di controllo e presidio delle procedure pubbliche tanto che nel primo anno di applicazione aveva generato un calo significativo della domanda pubblica a causa dei più stringenti vincoli relativi alla progettazione dei lavori e alla generalizzazione dell’utilizzo del criterio di aggiudicazione basato sull’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV). Tuttavia, all’iniziale calo della domanda pubblica è seguita una crescita costante delle del valore dei contratti che dal 2016, anno di introduzione del “Codice”, è stata del 69%. Il valore complessivo è stato di 102 miliardi nel 2016, 132,4 nel 2017, 139,4 nel 2018 e 169,9 nel 2019 (fonte ANAC).

Nel 2019 il mercato degli appalti pubblici ha prodotto un giro di affari pari a 170 miliardi di euro, in aumento del 23% (+30 mld di euro) rispetto al 2018. Cifra record mai toccata prima dal settore. La cosa interessante è che la crescita è avvenuta sia in termini di numero di numero di procedure sia in termini di valore per singola procedura, determinando una importante crescita di tipo qualitativo finalizzata a tradurre le esigenze concrete in progetti ben definiti sul piano tecnico e funzionale da affidare sulla base di griglie di valutazione incentrate sulla comparazione prevalentemente qualitativa delle offerte.

Il valore del mercato generato dal procurement pubblico è quindi molto importante sia in termini di peso percentuale sul PIL sia in termini di opportunità di business per le imprese italiane ed il contesto potrebbe ulteriormente migliorare la velocità di crescita se la riforma in corso sul Codice consentirà l’accesso alle procedure pubbliche anche a realtà meno strutturate quali sono le startup italiane.

La riforma del Codice
La riforma del Codice è, a mio parere, un percorso più che un’azione singola volta a definire la taratura corretta di uno strumento. Questo perché una norma è volta a regolare un comportamento ed il procurement pubblico non è altro che l’espressione di un’esigenza che cambia con il mutare del contesto economico, sociale e tecnologico. Quindi, per comprendere il percorso di riforma è opportuno focalizzare l’attenzione sui principi che animano l’azione legislativa che condiziona la dinamica del mercato degli appalti.

I principi ispiratori sono dettati dalle direttive europee del 2014: la direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici nei cd. “settori ordinari”, la direttiva 2014/25/UE sugli appalti nei cd. “settori speciali” (acqua, energia, trasporti, servizi postali) e la direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione. Il fine di queste tre direttive è quello di ottenere una trasformazione strutturale del mercato dei contratti pubblici puntando su un’amministrazione pubblica affidabile, efficiente e attenta all’innovazione ed in grado di confrontarsi in modo adeguato con le imprese presenti sul mercato, al fine di fornire alla collettività infrastrutture e servizi di qualità, progetti più innovativi e convenienti.

La discrezionalità come leva di crescita e non solo di corruzione
Le direttive europee ed il Codice che ne è diretta espressione pongono grande attenzione alla tutela ed allo sviluppo dei tessuti produttivi locali e nazionali, tutela dei lavoratori, dell’ambiente, dei valori sociali e della sostenibilità ambientale. In ragione di tali obiettivi di alto livello e per quanto anomalo possa sembrare (per me lo è stato e forse ancora lo è) alle stazioni appaltanti, nella prospettiva europea, sono stati riconosciuti adeguati spazi di discrezionalità, fin dalla scelta tra le varie procedure utilizzabili affinché siano privilegiati gli aspetti qualitativi dei lavori, dei beni e dei servizi oggetto del procurement anche a scapito di una mera valutazione di risparmio sulla spesa. Da qui il maggior peso del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, dove la componente qualitativa assume il peso preponderante rispetto a quella quantitativa (prezzo), potendo in alcuni casi addirittura superarla del tutto.

La capacità tutta italiana di complicare le cose…
Per quanto chiari i principi ispiratori dettati dall’Europa, il recepimento delle direttive ha dato origine ad un Codice che, invece di promuovere la libertà/discrezionalità finalizzata all’innovazione ed alla crescita di qualità, ha imbrigliato tali principi in una maglia di contenimento della corruzione e dell’infedeltà di chi opera nelle stazioni appaltanti tipicamente italiana. In sostanza, per contrastare la criminalità, la corruzione, l’evasione fiscale e previdenziale, oltre che per tutelare i diritti del lavoratori, il legislatore italiano ha predisposto una minuziosa definizione di iter di spesa rigidi e generalizzati producendo un effetto diametralmente opposto all’approccio comunitario e lontano dal raggiungere i livelli di legalità sperati.

Se vi state chiedendo cosa c’entra tutto questo preambolo sul contesto normativo con la ricerca di innovazione attraverso procurement pubblico vi chiedo di avere pazienza perché (spero) di riuscire a spiegarlo chiaramente strada facendo.

… e quella di cambiare idea
Preso atto degli effetti indesiderati e talvolta inefficaci generati dal Codice (che per quanto mi riguarda resta uno strumento indispensabile se costruito con logica) e del fatto che in Italia anche la corruzione segue procedure affette da fenomeni di corruzione, il legislatore italiano ha provveduto nel 2019, con il DL 32 detto “sblocca cantieri”, a modificare la disciplina del Codice dei contratti pubblici al fine di provvedere, da un lato, ad evitare l’avvio di una procedura di infrazione comunitaria, e, dall’altro, ad introdurre una serie di semplificazioni e modifiche utili ad avvicinare il Codice ai principi ispiratori.

Nel prossimo articolo affronto gli aspetti legati al ruolo delle startup nel procurement pubblico per l’innovazione.

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